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La Brexit è realtà. Garofolini : “Ora il pericolo è l’effetto domino”

Nel post-Brexit si analizzano le possibili conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna per l’Europa.

“Mi auguro che questo voto non abbia un effetto domino in tutta Europa. Nelle prossime settimana potremo valutare l’impatto di questa scelta sia in Gran Bretagna sia nel resto dell’Unione. Per quanto riguarda l’Italia credo che se uscisse dall’Europa sarebbe un grande problema per tutti”. Carlo Garofolini, presidente dell’Adico, commenta così la vittoria dei pro-“Brexit”, di cui tanto si sta discutendo in questi giorni. “E’ difficile decifrare questa scelta da parte della maggioranza del popolo britannico – continua Garofolini -. Ha prevalso di certo la paura dell’immigrazione comunitaria, la sensazione che l’Europa sia lì solo per succhiare soldi, e che da soli ci si possa sentire davvero liberi e indipendenti. E, in tutto questo ragionamento, sono molte le colpe di chi è a capo di questa Europa, che sembra più attenta alle esigenze della banche che ai diritti dei cittadini. Però al momento la Ue fornisce garanzie a ai Paesi membri”.

Proponiamo qui di seguito un articolo di Repubblica nel quale vengono riassunte le possibili conseguenze della Brexit.
La decisione degli elettori britannici di uscire dall’Unione Europea sta avendo conseguenze traumatiche sui mercati globali. Stanotte, la sterlina è scesa dell’11% contro il dollaro, toccando i minimi da 30 anni a questa parte, mentre la borsa di Londra ha perso l’8% in apertura, trascinando giù tutti gli altri mercati.

Perché la sterlina è scesa così tanto?

Gli investitori temono che per il Regno Unito si apra un periodo di grande incertezza. Le negoziazioni su che accordi prendere con l’UE dureranno almeno due anni. Ci sono poi preoccupazioni legate all’enorme deficit esterno della Gran Bretagna, pari al 7% del prodotto interno lordo, che dovrà continuare ad essere finanziato dagli investimenti stranieri in un periodo di grande turbolenza. Il rischio è una crisi della bilancia dei pagamenti, come quelle che Londra ha vissuto negli anni ’70.

Perché soffrono anche le borse europee?

Gli operatori di mercato temono che “Brexit” possa avere degli effetti a catena nel resto dell’UE. Le difficoltà economiche del Regno Unito potrebbero contagiare gli altri Paesi, per esempio attraverso un rallentamento delle importazioni britanniche dall’UE. Vi è poi una preoccupazione che l’UE stia entrando in una fase di nuova instabilità, marcata dalla crescita dei partiti populisti come, ad esempio, il Movimento 5 Stelle in Italia o il Fronte Nazionale in Francia. Infine, il clima generalizzato di paura porta gli investitori a vendere comunque le azioni ritenute meno sicure, come, ad esempio, quelle delle banche italiane.

Chi può intervenire?

Le banche centrali stanno già intervenendo nel mercato delle valute: la Banca Nazionale Svizzera sta vendendo franchi per evitare che la valuta si apprezzi troppo. Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha annunciato che sarà pronto a sostenere la sterlina, e ha messo a disposizione 250 miliardi per altre operazioni di mercato. Per ora, la Banca Centrale Europea non è ancora intervenuta, ma, come detto dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, anche a Francoforte sono pronti a intervenire, ove necessario, usando i tassi d’interesse, oltre ad altri strumenti come gli swap o i repo.

Riuscirà la Banca d’Inghilterra a sostenere l’economia?

Carney si trova in una situazione estremamente complessa: da una parte, la tentazione potrebbe essere quella di abbassare i tassi d’interesse per dare slancio all’economia e evitare il rischio di una lunga recessione. D’altra parte, il crollo della sterlina farà costare di più le merci importate, spingendo in alto l’inflazione. Questo potrebbe richiedere un aumento dei tassi d’interesse per convincere gli investitori a lasciare i loro capitali in Gran Bretagna a costo e frenare la caduta del cambio. Il rischio, però, è quello di peggiorare un’eventuale recessione.

Che faranno le aziende in Gran Bretagna?

Tutte le principali istituzioni finanziarie mondiali e la maggior parte degli economisti pensano che Brexit raffredderà la voglia delle aziende di investire, almeno finché non sarà chiaro quali saranno gli accordi raggiunti con l’Unione Europea. La crisi di governo causata dalle dimissioni del premier David Cameron, contribuiranno a questo clima di cautela. Nel frattempo, però, alcune aziende potrebbero decidere di spostare le loro operazioni all’estero. Gli occhi sono puntati sulle banche e le altre società di servizi finanziari, che già riflettono sul se spostarsi a Francoforte, Dublino o Parigi per continuare a godere dell’accesso agli altri mercati UE. Grandi aziende automobilistiche come la Toyota hanno fatto capire che potrebbero essere costrette a tagliare posti di lavoro in Gran Bretagna per abbassare i costi. Vi sono anche preoccupazioni per il settore dell’edilizia: il mercato immobiliare è destinato a frenare, soprattutto a Londra, dove c’è il rischio di una caduta dei prezzi dalle quotazioni vertiginose raggiunte in questi anni.

Quali sono i rischi per l’Italia?

Il problema principale riguarda l’andamento dei mercati azionari e, in particolare, dei titoli bancari, che già in apertura hanno sofferto come quelli di altri Paesi europei. Il sistema bancario italiano è in un momento di grande fragilità, anche se il governatore Visco, il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, e il presidente della Consob, Giuseppe Vegas si sono detti sicuri oggi che l’Italia non corra rischi particolari. Se Brexit dovesse avere effetti prolungati sull’economia europea, a soffrirne sarebbero prima di tutto le nostre aziende esportatrici. Più in generale, ci potrebbe essere un raffreddamento della volontà di investire in nuova capacità produttiva. Quanto al lungo periodo, molto dipenderà da che accordi l’UE prenderà con la Gran Bretagna: la società Prometeia ha stimato oggi che il danno per le aziende dai dazi imposti da Londra potrebbe essere di circa un miliardo.

Fonte: Adico

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fallimento Euro e Germania

L’Euro è tecnicamente fallito. E la colpa è della Germania

L’ex Governatore della Banca d’Italia Fazio si allinea al premio Nobel Stiglitz.

L’Uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, come prevedibile, lascia parecchi strascichi non solo fra i sudditi di Sua Maestà, ma anche nell’Eurozona. La quale si è risvegliata con una stella in meno nella propria bandiera ed una serie di problemi irrisolti che, se possibile, fanno ancora più rumore di prima.

Uno dei timori maggiormente condivisi è che ora, senza il ‘peso’ britannico, la Germania sarà ancora più dominante nelle politiche economiche dell’area Euro. Ma il punto cruciale resta la sostenibilità dell’Euro, che il premio Nobel per l’economia Josip Stiglitz aveva già definito “tecnicamente fallito” proprio a causa delle politiche tedesche. Ora, ad affiancare un parere così autorevole, c’è anche l’ex Governatore della Banca di Italia Antonio Fazio.

Fazio è tornato a fare le sue analisi sull’economia nazionale e internazionale in un incontro promosso dalla Fondazione Formiche e da Spin, puntando il dito contro Olanda e soprattutto Germania, e i loro mostruosi surplus commerciali, nell’analisi del mal funzionamento della moneta unica.

“La sola Germania mette da parte così più di 300 miliardi di eurol’anno – ha detto -, e lascia tutti gli altri paesi in deflazione, che produce bassa crescita e disoccupazione. Se non si rimettono in circolo quei 300 miliardi non c’è speranza che l’Europa e la sua moneta restino in piedi”. Come aveva previsto Stiglitz già due anni orsono.

Del resto anche il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi aveva replicato agli attacchi di Berlino contro la sua politica dei tassi bassi sottolineando che il persistente surplus della Germania nel saldo con l’estero è una delle cause principali, suscitando reazioni rabbiose. Ma è ormai oggettivo che I tassi bassi e il surplus tedesco sono i due gemelli micidiali dell’economia dell’Eurozona. Il surplus è la causa dei tassi bassi, come dice giustamente Draghi. Ma è vero anche che i tassi bassi nell’ultimo anno hanno fatto crescere il surplus, grazie alla svalutazione dell’euro: infatti, una valuta deprezzata rende i beni e servizi tedeschi più competitivi al di fuori della zona euro.

Insistendo sull’austerità durante la crisi dell’Eurozona – scrive in proposito il Financial Time -, e non aumentando la spesa per investimenti in patria, Berlino ha contribuito in modo decisivo a deprimere la domanda aggregata, sia entro i confini nazionali sia nell’Eurozona in generale. La lunga depressione dell’Eurozona ha provocato il calo dell’inflazione al di sotto del tasso obbiettivo (che è appena sotto il 2 per cento). La risposta della Bce è stata tagliare i tassi a breve termine a livelli negativi e comprare attività finanziarie. Se la politica di bilancio della Germania fosse stata neutrale, in questo periodo, il compito della Bce sarebbe stato più semplice: avrebbe centrato il suo obbiettivo di inflazione e non avrebbe dovuto ridurre così tanto i tassi.

In teoria – come fa notare Wolfgang Münchau sul Financial Time -, una soluzione semplice ci sarebbe: Berlino potrebbe tagliare le tasse e aumentare la spesa per investimenti. I margini per farlo ce li ha, e in abbondanza: dopo anni di austerità, il moltiplicatore fiscale – l’impatto di ciascun euro di spesa in disavanzo – è considerevole.

Sfortunatamente, la regola tedesca che obbliga al pareggio di bilancio rende impossibile seguire questa strada. Cosa ancora più importante, l’elettorato e i suoi rappresentanti politici non vogliono seguirla. Vogliono rifondere i loro debiti: è una scelta sbagliata, ma è una scelta democratica. La conseguenza, però, è che finché la Germania rimarrà nell’euro gli squilibri non potranno correggersi da soli.

Fonte: Quifinanza

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E’ Brexit: Sterlina in caduta libera, borse a picco. Piazza affari mai così male

Notte drammatica e venerdì nero per i mercati internazionali con la vittoria di Brexit che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea.

In avvio a Milano solo il titolo Recordati riesce a fare prezzo e perde oltre il 9%, mentre tutti gli altri restano a lungo bloccati per l’eccesso di vendite. Con il passare di minuti iniziano le contrattazioni e il rosso a Piazza Affari si allarga fino all’11%: si tratta della maggiore perdita da quando è possibile ricostruirne a ritroso l’andamento, dal 1994. Dopo il crac di Lehman il Ftse Mib segnò un crollo dell’8,24% il 6 ottobre 2008, mentre l’11 settembre 2001 aveva perso il 7,57%.

A pagare lo scotto maggiore sono le banche che solo a fatica riescono a fare prezzo: quando Bpm apre il rosso teorico è del 35%, poi ritraccia, ma le perdite sono pesanti e a due cifre come per Unicredit e Intesa Sanpaolo. A essere in ginocchio è l’intero comparto creditizio europeo. Francoforte perde il 6,9% peggio di Londra (-3,9%), ma meglio di Parigi (-8,3%). Effetto Brexit anche su Wall Street che apre col Dow Jones che perde il 2,33% e il Nasdaq il 3,90%. In profondo rosso anche l’indice S&P500 che cede il 2,33%, la peggior apertura dal 1986.

In mattinata Tokyo ha perso il 7,92% archiviando la peggior seduta dall’incidente nucleare di Fukishima. Per evitare danni maggiori, il Giappone ha deciso l’applicazione del ‘circuit breaker’, il dispositivo che inibisce le funzioni di immissione e modifica degli ordini, limitando i ribassi troppo elevati. Un meccanismo che potrebbe essere utilizzato anche da Borsa italiana che sarebbe pronta a restringere la forchetta di oscillazione dei titoli, per contenere il flusso di vendite.
A terrorizzare gli analisti è anche il percorso travagliato che sancirà il divorzio tra Londra e Bruxelles perché serviranno almeno due anni di negoziati che alimenteranno solo le incertezze. “Brexit può essere la nuova Lehman” dice Vincenzo Longo, analista di Ig Markets. Gli addetti ai lavori si augurano un divorzio che minimizzi il danno economico a tutto quelli che subiranno l’impatto del Brexit. “La Gran Bretagna soffrirà ma sono sicuro che si focalizzerà ancora di più ora sulla competitività della sua economia nei confronti dell’Ue e del mondo in generale” dice Tom Enders, l’amministratore delegato del gruppo aeronautico europeo Airbus Group.

A soffrire sono soprattutto le valute con la sterlina che dopo un avvio iniziale trionfante sulla scia dei sondaggi (volata ai massimi dal 2015, sfiorando gli 1,50 dollari), è crollata nella notte man mano che arrivavano i dati del vantaggio del “leave” dalla Ue, segnando un calo del 5% sul dollaro e arrivando a sfiorare 1,33: un crollo che ha superato quello del 1985. Le fluttuazioni della sterlina andranno negli archivi come le più forti di sempre. La perdita nel giorno del referendum aveva già superato quella del “mercoledì nero” del 1992, quando la crisi valutaria spinse la Gran Bretagna fuori dal Sistema monetario europeo. Debole anche l’euro che segue in negativo l’uscita dall’Ue di Londra. La moneta unica scende sotto quota 1,10 (1,0984) e a 111,56 contro lo yen, altra moneta rifugio in questi momenti. Tempesta anche sui titoli di Stato: lo spread, la differenza di rendimento, tra Btp e Bund tedeschi si è ampliato fino a 185 punti base dalla chiusura a quota 130 punti per poi ritracciare a quota 150 con il decennale italiano che rende poco meno dell’1,5%, mentre il tasso del bund è piombato al minimo record di -0,17% per poi risalire a -0,15%. Immediato l’effetto sulle materie prime: mentre il petrolio è in calo e cede oltre il 6% a 47 dollari per il barile Wti e il Brent perde poco meno (il 5,95%) a 47,88 dollari, corre l’oro, considerato il bene rifugio per eccellenza. Le quotazioni del metallo giallo, forti da giorni, salgono del 7,8% ai massimi dal 2008.

A questo punto l’attenzione è tutta rivolta verso le banche centrali. Haruhiko Kuroda, numero uno della Boj, la banca giapponese, ha assicurato che lavorerà a stretto contatto con gli altri governatori centrali per stabilizzare i mercati. In particolare, i banchieri stanno pensando di utilizzare – come già accaduto durante la crisi del 2008 – un accordo di “currency swap” che permetterebbe alla banche centrali di rifornirsi di dollari presso la Federal Reserve mantenendo poi invariato il tasso di cambio al momento della chiusura dell’operazione: in questo modo l’oscillazione delle valute sarebbe limitata. Anche la Banca d’Inghilterra è intervenuta spiegando che farà “tutto il necessario per assicurare la stabilità dei mercati”.

Fonte: Adico

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