Il Telegraph: “L’Italia scelga fra Euro e sopravvivenza”

Nel primo trimestre del 2016 la Germania è stata protagonista di una crescita del Pil dello 0,7%, al ritmo più forte in due anni, a fronte di un anemico +0,3% dell’Italia.

Di fatto, la Germania è cresciuta a un tasso più che doppio rispetto all’Italia confermandosi motore dell’economia dell’Eurozona, che invece ha fatto +0,5%, rispetto al +0,6% inizialmente reso noto.
Carsten Brzeski, economista presso ING, ha parlato in proposito di una crescita “realmente impressionante”, facendo notare tra l’altro che i fattori della crescita tedesca sono cambiati rispetto al passato. “Inizialmente sostenuta dalle esportazioni e da una forte produzione industriale, l’economia tedesca è al momento stimolata molto di più dai consumi privati, dalle costruzioni e da una fetta di esportazioni. Guardando in avanti, almeno nel breve termine, questo nuovo mix di crescita dovrebbe sostenere ulteriormente la crescita”. Brzeski ha ammesso tra l’altro che “il tessuto industriale ha subito un rallentamento significativo”.

Se la Germania fa meglio dell’Eurozona, l’Italia fa peggio.

Pochi giorfni dopo le sparate di Boris Johnson su Ue, Euro e Italia, Il Telegraph ha pubblicato proposito un’analisi di Ambrose Evans-Pritchard che sembra avere tutte le caratteristiche di una sentenza.
“Per l’economia italiana il tempo sta per scadere – si legge -. Dopo sette anni di espansione globale, il paese è ancora intrappolato in una situazione di debito-deflazione e fa ancora fronte a una crisi bancaria che non riesce a combattere, visti i limiti paralizzanti dell’Unione monetaria (..) Ogni anno, Roma spera in un calo del rapporto tra debito e Pil, e ogni anno tale rapporto sale. La ragione è sempre la stessa. Le condizioni deflazionistiche impediscono al Pil nominale di salire in modo sufficiente da superare la crescita del debito”.

Evans-Pritchard ricorda che il debito/PIl è stato del 121% nel 2011, del 123% nel 2012, del 129% nel 2013? e del 132,7% lo scorso anno. E se non è cresciuto di più è stato per il calo del petrolio, dell’euro e per la polvere magica del Quantitative easing della Bce di Mario Draghi. Ma: “questo triplo stimolo si sta già smorzando, prima che il paese riesca a sfuggire alla trappola della stagnazione”.

Tuttavia è sulle scelte future che si concentra il messaggio dell’opinionista del Telegraph:
“Italy must choose between the euro and its own economic survival”, ovvero, “l’Italia deve scegliere tra l’euro e la sua stessa sopravvivenza economica“.

Così ammette Simon Tilford del Centre for European Reform. “L’Italia è incredibilmente vulnerabile. Ha attraversato l’intera fase di recupero senza segnare alcuna crescita. L’inflazione core viaggia a livelli pericolosamente bassi. Il governo non ha quasi più alcuna munizione per combattere la recessione”.

Di qui la questione – ormai viva da anni – se rimanere o meno nell’euro. L’ultimo sondaggio Ipsos Mori mostra che il 48% degli italiani voterebbe per lasciare sia l’ UE che l’euro, se ne avesse modo.

Ma l’articolo di Evans-Pritchard è molto interessante perchè ripercorre “la disastrosa avventura con l’euro“, che è “lunga e complessa”. “Il paese vantava un grande surplus commerciale con la Germania alla metà degli anni ’90, prima che i tassi di cambio venissero trasformati in fissi, per l’eternità. Quelli erano i giorni in cui (l’Italia) poteva ancora svalutare (la lira), provocando l’irritazione delle camere di commercio della Germania.

“E’ sufficiente dire che l’Italia ha perso il 30% di competitività contro la Germania – competitività misurata dal costo del lavoro unitario – nei 15 anni successivi, sia in quanto la Germania ha messo sotto pressione i salari, per avvantaggiarsi sugli altri (paesi dell’Eurozona), sia perchè la globalizzazione ha interessato i due paesi in modi diversi. L’Italia è scivolata in una situazione di ‘equilibrio negativo‘ e la sua produttività è scesa -5,9% dal 2.000: un collasso da togliere il respiro”.

L’articolo continua, mettendo in evidenza che “l’Italia ora non può più liberarsi dalla trappola”, e che “il risultato davanti ai nostri occhi è una implosione industriale“. A ciò si aggiunge una crisi bancaria che mette in evidenza le disfunzioni dell’Unione monetaria europea, e che peggiora giorno dopo giorno. Riferimento a Unicredit, che ha “perso la metà del suo valore negli ultimi sei mesi, emblema di un settore intoccabile con 360 miliardi di crediti deteriorati, il 19% dei bilanci bancari italiani”.

Fonte: Qui Finanza

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