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PENSIONE DI REVERSIBILITA’ 2019: NUOVI LIMITI DI REDDITO

Nuovi limiti di reddito per la pensione di reversibilità 2019.

La pensione di reversibilità, o pensione ai superstiti, è una prestazione che viene riconosciuta ad alcuni familiari del lavoratore o del pensionato deceduto iscritto a una delle gestioni dell’INPS.

In particolare, essa si chiama “pensione di reversibilità” se l’assicurato era già pensionato al momento del decesso, e “pensione indiretta” se l’assicurato lavorava ancora.

La pensione ai superstiti spetta dunque al coniuge, ai figli e, in mancanza, ai genitori over 65 senza pensione o ai fratelli ed alle sorelle inabili.

Affinché possa essere riconosciuta la reversibilità ai familiari diversi dal coniuge, è necessaria anche la vivenza a carico del defunto. La vivenza a carico è presunta per i figli minori, mentre deve essere provata per gli altri familiari.

Nuovi limiti di reddito

I limiti di reddito variano ogni anno, perché si basano sull’ammontare del trattamento minimo di pensione. Nel 2019, l’integrazione al trattamento minimo è pari a 513,01 euro mensili.

La pensione ai superstiti, inoltre, viene ridotta se il beneficiario possiede anche altri redditi. La decurtazione della pensione di reversibilità, in questi casi, può variare dal 25% al 50%.

A quanto ammonta

L’importo della pensione di reversibilità, che decorre dal 1° giorno del mese successivo a quello del decesso del lavoratore pensionato, corrisponde a una percentuale della pensione che era in pagamento al pensionato deceduto.

Le percentuali da applicare variano in base ai familiari aventi diritto:

  • 60%, solo coniuge;
  • 70%, solo un figlio;
  • 80%, coniuge e un figlio ovvero due figli senza coniuge;
  • 100% coniuge e due o più figli ovvero tre o più figli;
  • 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.

Come fare domanda

Per richiedere la pensione di reversibilità 2019 occorre presentare domanda telematica all’Inps, previo possesso di Pindispositivo o di credenziali SPiD, oppure, in alternativa, è possibile recarsi presso un Caf o Patronato.

Fonte: Adico

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PENSIONI: I CONTRIBUTI UTILI PER QUOTA 100

Ecco quali sono i contributi utili per Quota 100.

Con la firma di Mattarella al decreto legge che introduce il reddito di  cittadinanza e quota 100 per la pensione, il provvedimento è ufficialmente entrato in vigore.

Da oggi è quindi possibile presentare la domanda in via telematica, mediante il call center o attraverso i patronati e agli altri soggetti abilitati alla intermediazione delle richieste di servizio.

Come fare

Il cittadino che possiede le credenziali di accesso (il Pin rilasciato dall’Istituto, lo Spid o la Carta nazionale dei servizi) può compilare la domanda telematicamente. Ciò attraverso i servizi on line, sul sito Inps, nella sezione “Domanda Pensione, Ricostituzione, Ratei, Ecocert, Ape Sociale e Beneficio precoci”.

La domanda può essere presentata anche per il tramite dei Patronati e degli altri soggetti abilitati alla intermediazione delle istanze di servizio all’Inps ovvero, utilizzando i servizi del Contact center.

Requisiti per Quota 100

Per andare in pensione all’età di 62 anni, con cinque anni di anticipo, bisogna aver maturato 38 anni di contributi.

Potrebbe essere molto difficile averli, soprattutto per coloro che hanno iniziato a lavorare ad età avanzata o che hanno avuto una carriera lavorativa discontinua.

In realtà per “contributi utili” si intende la contribuzione accreditata a qualsiasi titolo in favore dell’interessato, come specificato nel decreto stesso.

Chi risulta iscritto a due gestioni previdenziali Inps, inoltre, può cumulare gratuitamente i contributi accreditati per raggiungere i 38 anni di contribuzione richiesta. Lo stesso non vale per chi è iscritto anche a una cassa professionale.

Fonte: Adico

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pensioni

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DEL GOVERNO CONTE RISCHIA DI AVVANTAGGIARE I LAVORATORI PIÙ FORTI

Dalle prime indiscrezioni sul dossier sul tavolo del Nuovo Governo Lega Cinquestelle la riforma delle pensioni potrebbe avvantaggiare gli impiegati pubblici a discapito di anziani disoccupati e lavoratori impegnati in attività gravose.

La riforma sembra proprio favorire i lavoratori più «forti» come gli uomini residenti al Nord e con impieghi più stabili mentre potrebbe portare ad un’uscita più lontana nel tempo le donne e coloro che hanno avuto lunghi periodi di disoccupazione e cassa integrazione.

Dalle ultime notizie sembra possa essere accantonata l’esperienza dell’Ape social ma anche la pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica prevista ora per i lavoratori precoci impegnati in attività gravose o per quelli e che pur contando su questo numero di anni di contributi ora sono disoccupati. Si sta prendendo in considerazione la cosiddetta quota 100 con almeno 64 anni di età (e quindi almeno 36 di contributi) o un’uscita con 41 anni e mezzo di contributi. Ma vediamo nel dettaglio alcuni esempi di quali lavoratori potrebbero guadagnarci e quali perderci nel 2019 rispetto alla situazione attuale.

IMPIEGATO PUBBLICO NATO NEL GENNAIO 1955 CHE LAVORA DALL’82: CI GUADAGNA, potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le regole attuali resterebbe invece al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età dato che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.

DONNA ORA DISOCCUPATA NATA NEL GENNAIO 1956 CHE HA LAVORATO DAL 1985 al 2015: CI PERDE. Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio dato che è ha esaurito da oltre tre mesi la Naspi, è disoccupata e ha almeno 30 anni di contributi. Le madri, al momento, hanno poi un maggiore ‘scontò sui contributi per ogni figlio: un anno per figlio con un massimo di due anni. Con le nuove regole previste dalla nuova riforma, non avendo i contributi necessari alla quota 100 potrebbe dover aspettare – se non ci sarà una clausola di salvaguardia ad hoc – i 67 anni andando quindi nel 2023 (a questo andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023).

LAVORATORE PRECOCE NATO ALL’INIZIO DEL 1960 CHE LAVORA DA 1978 CON LUNGHI PERIODI DI CASSA INTEGRAZIONE, impegnato in attività GRAVOSE. CI PERDE: Con le regole attuali uscirebbe nel 2019 con 41 anni e cinque mesi di contributi (l’anno prossimo scatta l’aumento di cinque mesi legato all’aspettativa di vita). Con le riforma dai 41 anni e mezzo di contributi necessari verrebbero esclusi alcuni anni di contributi figurativi previsti dalle regole sulla cassa integrazione e dovrebbe aspettare di avere 43 anni e tre mesi di contributi e uscire con la pensione anticipata.

LAVORATORE NATO NEL 1956 IMPIEGATO IN UNA GRANDE AZIENDA DAL 1978 SENZA AVER MAI AVUTO PERIODI DI CONTRIBUZIONE FIGURATIVA: CI GUADAGNA; con le nuove regole andrebbe in pensione nel 2019 con 41 anni e mezzo di contributi. Con le regole attuale dovrebbe aspettare di raggiungere almeno i 43 anni e tre mesi di contributi uscendo nel 2021 (e subendo probabilmente un nuovo aumento dell’aspettativa di vita).

PENSIONATO «D’ORO»: CI PERDE, MA NON È DETTO: se scattano i tagli alle pensioni superiori ai 5.000 euro netti (circa 8.500 euro lordi) per la parte del trattamento non legata ai contributi versati ci perde circa il 5-6% dell’assegno. Ma se in contemporanea viene introdotta la flat tax facendo parte della fascia reddituale più alta ci guadagna.

Fonte: ADICO

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cumulo gratuito

PENSIONI: IL MINISTERO DA IL VIA LIBERA AL CUMULO GRATUITO

Via libera del Ministero del Lavoro alla Circolare Inps che sbloccherà, dopo diversi mesi, le pensioni per chi ha fatto richiesta del cumulo gratuito dei contributi versati presso diverse Casse previdenziali.

E’ arrivato l’ok del ministero del Lavoro alla circolare dell’Inps che permette di versare la pensione a chi ha chiesto di ritirarsi dal lavoro grazie al cumulo gratuito dei contributi previdenziali versati a Casse diverse. Inserito nell’ultima Legge di Bilancio, il cumulo consente di mettere insieme i contributi previdenziali versati a Enti diversi dall’Inps o tra diverse gestioni dello stesso Istituto. Questa operazione è sempre stata possibile, ma prima di adesso veniva pagata a caro prezzo. A partire da oggi invece coloro che hanno sfruttato la legge e hanno fatto domanda di pensione potranno riceverla senza spese aggiuntive. Benché la legge fosse attuativa già da tempo, abbiamo dovuto aspettare dieci mesi prima che Inps, Casse private e ministero del Lavoro dessero il via libera o quantomeno una spiegazione a chi attendeva l’assegno di quiescenza.

Questo tempo è stato necessario al fine di rendere gratuito ciò che prima era possibile a titolo oneroso. E la differenza, o parte di questa, dovrebbe metterla lo Stato, che però non ha specificato quanto è stato stanziato per l’operazione. C’è chi sostiene 300 milioni, chi meno. E’ però certo che non può essere l’Inps a metterli di tasca propria, né tantomeno le singole Casse previdenziali, che per legge devono garantire una sostenibilità nel tempo a 50 anni, pena l’accorpamento all’Inps. A richiedere la pensione attraverso il meccanismo del cumulo gratuito dovrebbero essere circa 7 mila professionisti nel 2017, 15 mila nel 2018 fino a arrivare a 100 mila tra dieci anni: sono commercianti, avvocati, medici, professionisti ma anche coloro che hanno avuto carriere discontinue e hanno maturato il diritto alla pensione.

Fonte: Adico

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