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PENSIONI: IL MINISTERO DA IL VIA LIBERA AL CUMULO GRATUITO

Via libera del Ministero del Lavoro alla Circolare Inps che sbloccherà, dopo diversi mesi, le pensioni per chi ha fatto richiesta del cumulo gratuito dei contributi versati presso diverse Casse previdenziali.

E’ arrivato l’ok del ministero del Lavoro alla circolare dell’Inps che permette di versare la pensione a chi ha chiesto di ritirarsi dal lavoro grazie al cumulo gratuito dei contributi previdenziali versati a Casse diverse. Inserito nell’ultima Legge di Bilancio, il cumulo consente di mettere insieme i contributi previdenziali versati a Enti diversi dall’Inps o tra diverse gestioni dello stesso Istituto. Questa operazione è sempre stata possibile, ma prima di adesso veniva pagata a caro prezzo. A partire da oggi invece coloro che hanno sfruttato la legge e hanno fatto domanda di pensione potranno riceverla senza spese aggiuntive. Benché la legge fosse attuativa già da tempo, abbiamo dovuto aspettare dieci mesi prima che Inps, Casse private e ministero del Lavoro dessero il via libera o quantomeno una spiegazione a chi attendeva l’assegno di quiescenza.

Questo tempo è stato necessario al fine di rendere gratuito ciò che prima era possibile a titolo oneroso. E la differenza, o parte di questa, dovrebbe metterla lo Stato, che però non ha specificato quanto è stato stanziato per l’operazione. C’è chi sostiene 300 milioni, chi meno. E’ però certo che non può essere l’Inps a metterli di tasca propria, né tantomeno le singole Casse previdenziali, che per legge devono garantire una sostenibilità nel tempo a 50 anni, pena l’accorpamento all’Inps. A richiedere la pensione attraverso il meccanismo del cumulo gratuito dovrebbero essere circa 7 mila professionisti nel 2017, 15 mila nel 2018 fino a arrivare a 100 mila tra dieci anni: sono commercianti, avvocati, medici, professionisti ma anche coloro che hanno avuto carriere discontinue e hanno maturato il diritto alla pensione.

Fonte: Adico

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laureati

LAUREATI IN ITALIA: POCHI E BISTRATTATI SUL LAVORO

Dal rapporto Ocse emerge un quadro allarmante per i laureati italiani: classificati agli ultimi posti per livello di competenze, solo raramente sono impiegati in professioni in linea con il loro percorso formativo.

«Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%». Questo l’allarme riguardante l’Italia che emerge dal rapporto Ocse sulla «Strategia per le competenze». «Gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze» in lettura e matematica, collocandosi al 26 esimo posto su 29 paesi Ocse. In più, oltre ad essere pochi, quelli che ci sono non vengono utilizzati al meglio nel mondo del lavoro, risultando un po’ “bistrattati”.

Non finisce qui: «sorprendentemente, malgrado i bassi livelli di competenze che caratterizzano il Paese, si osservano numerosi casi in cui i lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione, cosa che riflette la bassa domanda di competenze in Italia. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana», maggiore di quella che, invece, si trova sotto il livello richiesto (il 6% risulta avere competenze basse rispetto al lavoro che fa e il 21% è sotto-qualificato).

L’Italia è «l’unico Paese del G7» in cui risulta più alto il numero dei lavoratori laureati impiegati in posti con mansioni di routine rispetto a quello di coloro che svolgono attività non di routine. In inglese questo fenomeno è noto come “skills mismatch”, traducibile in italiano con “dialogo tra sordi”, dove i due potenziali interlocutori sono il lavoratore e il posto di lavoro. «Circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi». Quindi in più di un caso su tre i percorsi d’istruzione e i percorsi professionali non si parlano. È cosa da noi «molto diffusa» che le competenze non risultino in linea con la mansione, spiega l’Ocse in un dossier specifico sulla materia.

È riscontrabile inoltre un divario di oltre un anno scolastico tra gli studenti del Nord e quelli del Sud Italia. «Per esempio, mentre gli studenti della provincia autonoma di Bolzano ottengono risultati estremamente soddisfacenti, in linea con quelli dei Paesi che occupano le posizioni di testa nelle classifiche internazionali come ad esempio quelli degli studenti coreani, gli studenti della Campania si collocano più in basso, allo stesso livello di quelli cileni o bulgari. Il divario della performance in Pisa tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico», si legge ancora nel rapporto dell’Ocse.

Fonte: La Stampa

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studio dei mestieri

A Como il primo liceo dell’artigianato, dove i ragazzi imparano anche i mestieri

Oltre alla formazione liceale, la scuola “Oliver Twist” di Como offre l’insegnamento delle arti della cucina e dell’accoglienza, dell’arredo ligneo e del tessile.

Chi l’ha detto che apprendere bene un mestiere è un ripiego per ragazzi svogliati? A smontare questo pregiudizio che ha accompagnato fino ad oggi la formazione professionale, sarà la scuola “Oliver Twist” di Como che dal prossimo anno scolastico darà il via al primo liceo artigianale, una sorta di liceo delle scienze applicate con l’alternanza scuola-lavoro come prassi quotidiana. La “filosofia” della legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”, verrà declinata in questa realtà nata nel 2009 grazie all’omonima fondazione.

Il ritorno dell’artigianato

Siamo di fronte ad un percorso del tutto innovativo, capace di coniugare il lavoro e la sapienza artigianale, il locale e l’internazionale. Il liceo artigianale sarà il primo indirizzo che affiancherà al diploma liceale il raggiungimento di competenze lavorative certificate in uno di questi tre settori: arti della cucina e dell’accoglienza; arti dell’arredo ligneo e del tessile. Da lì usciranno giovani formati a 360 gradi. Basta vedere le materie di studio per capire: i ragazzi dovranno prendere in mano libri di italiano, lingua straniera, matematica, informatica, fisica, scienze naturali, storia dell’arte per tutti i cinque anni, e nel biennio anche storia e geografia. Ma non solo. Il primo anno avranno 210 ore di laboratorio artigianale mentre a partire dal secondo anno una settimana al mese i ragazzi svolgeranno un’attività lavorativa in un’azienda.

Inglese in primo piano

Un approccio alla professionalizzazione che partirà dalle aule: ogni classe sarà dotata di lavagna interattiva e ciascun studente utilizzerà il notebook come strumento di studio. Oltre ai diversi software specialistici, i laboratori digitali saranno dotati di stampanti 3D. Particolare attenzione sarà data alla conoscenza della dimensione globale e quindi all’apprendimento della lingua inglese, potenziata anche attraverso la formula del CLIL, l’utilizzo di software specialistici dedicati con il coinvolgimento di insegnanti di madrelingua e di moduli di cultura internazionale svolti da docenti e professionisti stranieri. L’obiettivo per la lingua inglese è almeno la certificazione B1 al termine del primo biennio.

Il collegamento con le aziende

Un percorso davvero capace di offrire ai ragazzi diverse opportunità: tra le attività didattiche sarà favorito lo studio del cinema, della musica, della calligrafia e profilatura ma anche del parlare in pubblico. Il comitato scientifico del primo liceo artigianale composto da Mario Botta, Giuseppe Bertagna, Erasmo Figini, Carlo Ossola e Albino Zgraggen ha già attivato una serie di rapporti con alcune aziende significative: Inditex Spa; Lario Hotel; Lisa Spa; Vodafone; Castiglioni Legnami. L’opportunità offerta dalla scuola “Oliver Twist” apre un dibattito sul valore dei licei che oggi devono sempre più guardare al mondo del lavoro, preparare i ragazzi ad entrare nel mercato economico fornendo loro tutti gli attrezzi necessari per affrontare il difficile momento in cui ci troviamo. Studiare un mestiere con la consapevolezza di poter avere una formazione di qualità e globale è sicuramente la strada giusta.

Fonte: ischool

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Quanti stranieri ci sono nel tuo comune? Da dove vengono? Ecco tutti i dati

In Europa non siamo tra i Paesi con più immigrati, i flussi si sono invertiti. La città più multietnica è Milano, dove ci sono molti filippini. Ma oggi siamo noi a emigrare.

L’immigrazione in Italia è un fenomeno complicato, dalle tante sfaccettature. Certo possiamo provare a capirci qualcosa guardando alla situazione nel suo complesso, ai numeri dell’intera Italia. Ma tutto sommato a contare parecchio è il livello locale, dove alla fine italiani e stranieri non s’incontrano concretamente.

Che aspetto ha allora l’immigrazione, se per esempio prendiamo i singoli comuni? Fra i principali, quello che ospita la fetta più ampia di persone che non hanno cittadinanza italiana è Milano. Nel capoluogo lombardo, secondo quanto mostrano i dati Istat , una persona su cinque è un’immigrata o un immigrato. A Roma invece è presente la comunità in assoluto più ampia – circa 363mila persone -, ma rispetto alla popolazione complessiva della capitale le persone di cittadinanza non italiana incidono meno arrivando al 13% del totale. Valori simili – soltanto un po’ più elevati – risultano a Torino.

Più in generale troviamo l’incidenza maggiore nel centro-nord, mentre nel meridione Napoli è una città tutto sommato rappresentativa della tendenza generale: a parte qualche eccezione in piccoli comuni raramente gli immigrati superano il 5-6%.

NON TANTI QUANTO SEMBREREBBE

Ma in generale si tratta di numeri grandi o piccoli?

Uno studio realizzato dalla London School of Economics ha confrontato molte città europee trovando che fra i luoghi con la maggior densità di non nativi ci sono Londra e Bruxelles, in cui si arriva al 35% o più dei residenti, mentre Stoccolma o Amsterdam risultano intorno al 29%. Le località italiane, per parte loro, presentano valori di gran lunga inferiori.

La definizione usata nell’analisi è un po’ diversa da quella dell’Istat e include le persone che non sono nate nella nazione in cui si trovano – quindi non dipende da chi ha acquisito la cittadinanza, ma per farci un’idea complessiva può comunque tornare utile.

LA SITUAZIONE ITALIANA IN EUROPA

Se allarghiamo lo sguardo alle altre nazioni d’Europa non c’è ragione per pensare che gli immigrati in Italia abbiano raggiunto un numero eccessivo. Al contrario, secondo i dati Eurostat il nostro è uno dei Paesi in cui ce ne sono meno . Escludiamo pure Austria, Irlanda, Svezia o Belgio – luoghi in cui nel 2014 si supera il 15% dell’intera popolazione, ma probabilmente troppo diversi per fare un paragone sensato. Anche così Spagna, Regno Unito, Germania e Francia presentano una quota di persone nate all’estero assai più ampia dell’italiana: circa tre punti percentuali, ovvero qualche milione di persone di differenza.

A TORINO PIU’ ROMENI, A MILANO I FILIPPINI

Un altro modo per chi capire chi sono, queste persone, è guardare al loro luogo di provenienza. Spesso si tratta di comunità diverse che crescono in una città piuttosto che in un’altra, tanto che parlare genericamente di immigrati comincia a perdere di senso.

A Torino, per esempio, il gruppo più nutrito è quello dei romeni: sono poco meno di 55mila, con i marocchini che formano la seconda comunità più numerosa. Le altre nazionalità – peruviani, cinesi, albanesi e così via – vengono subito dopo ma appaiono meno rappresentate. Quella romena è la cittadinanza più diffusa anche nella capitale, dove però risultano anche un nutrito numero di persone provenienti dalle Filippine e dal Bangladesh.

Situazione piuttosto diversa a Milano dove proprio i filippini – con egiziani e cinesi – appaiono la comunità di maggiore ampiezza. E se tutto sommato ogni comune fa storia a sé, per ciascuno possiamo esplorare qual è la situazione oggi.

MA SIAMO NOI I NUOVI MIGRANTI

Dal 2012, in tutto il Paese le persone con cittadinanza non italiana sono passate da 4 a 5 milioni. Eppure, ricorda ancora Istat, dal 2007 i nuovi arrivi non hanno fatto che calare . I flussi in entrata di ampiezza maggiore risalgono a prima della crisi economica – un periodo che ormai da questo punto di vista appare completamente diverso. Oggi al contrario ci stiamo avvicinando a un fenomeno che non si vedeva più dagli anni ’60 , con l’emigrazione italiana che diventa sempre più ampia e rischia di diventare superiore all’immigrazione.

MA SIAMO NOI I NUOVI MIGRANTI

Dal 2012, in tutto il Paese le persone con cittadinanza non italiana sono passate da 4 a 5 milioni. Eppure, ricorda ancora Istat, dal 2007 i nuovi arrivi non hanno fatto che calare . I flussi in entrata di ampiezza maggiore risalgono a prima della crisi economica – un periodo che ormai da questo punto di vista appare completamente diverso. Oggi al contrario ci stiamo avvicinando a un fenomeno che non si vedeva più dagli anni ’60 , con l’emigrazione italiana che diventa sempre più ampia e rischia di diventare superiore all’immigrazione.

MA SIAMO NOI I NUOVI MIGRANTI

Dal 2012, in tutto il Paese le persone con cittadinanza non italiana sono passate da 4 a 5 milioni. Eppure, ricorda ancora Istat, dal 2007 i nuovi arrivi non hanno fatto che calare . I flussi in entrata di ampiezza maggiore risalgono a prima della crisi economica – un periodo che ormai da questo punto di vista appare completamente diverso. Oggi al contrario ci stiamo avvicinando a un fenomeno che non si vedeva più dagli anni ’60 , con l’emigrazione italiana che diventa sempre più ampia e rischia di diventare superiore all’immigrazione.

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