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aumento reddito famiglie italiane

SALE IL REDDITO ITALIANO, MA AUMENTANO LE DISUGUAGLIANZE

I dati dell’Istat ci riferiscono che il reddito delle famiglie italiane è cresciuto rispetto al 2014. A beneficiare di questo aumento sono però soprattutto gli strati più ricchi della popolazione, portando ad un’accentuazione della disuguaglianza dei redditi.

Sorpresa. Il reddito medio delle famiglie italiane è salito. Solo che, e c’era da attenderselo, la crescita più intensa si registra per il quinto più ricco della popolazione. A quello più povero toccano le briciole. Tant’è che al 20% dei meno abbienti va poco più del 6% del reddito totale. Detto questo, il reddito delle famiglie è comunque salito tra il 2014 e il 2016. Niente balzi sproporzionati in avanti, ma certo un passo in più c’è stato. Lo dicono le statistiche dell’Istat sulla condizione di vita delle famiglie nel 2016. Rispetto al 2014 c’è stato un aumento dell’1,8% in termini nominali e dell’1,7% rispetto al potere di acquisto. Mediamente il reddito medio annuo per famiglia è pari a 29.988 euro, più o meno 2.500 euro al mese. Ma si parla di una media, per cui quei 30mila euro l’anno non sono per tutti: metà dei nuclei familiari residenti possono contare su un reddito netto che non supera i 24.522 euro (circa 2.016 euro al mese, con un +1,4% rispetto al 2014). Il che vuol dire che c’è una bella fetta di famiglie che a quella media non arriva. Anzi, con una certa velocità, rischia di finire ai margine del tessuto sociale.

Le diseguaglianze crescono, come del resto accade in molti Paesi occidentali. Nel Rapporto, quella che ormai viene rappresenta come una bomba sociale, è ben rappresentata da numeri e cifre. Nel 2016 c’è stata “una significativa e diffusa crescita del reddito disponibile e del potere d’acquisto delle famiglie (se riferito al 2015), ma anche un aumento della disuguaglianza economica e del rischio di povertà o esclusione sociale”, scrive l’Istat. Gli italiani che rischiano di finire ai margini sono uno su tre. Un numero altissimo, che fa lievitare la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale alla cifra di 18.136.663 persone. Una nazione a sè. E le differenze si vedono sui territori, inutile negarlo. Chi risiede al Sud e nelle Isole ricade più spesso nel primo quinto più a rischio (33,2%), rispetto a chi vive al Centro (15,8%) e nelle aree geografiche del Nord-ovest e Nord-est (13,2% e 10,1%).

Le famiglie più ricche, in parallelo, si trovano al Nord (oltre il 26%), ma anche nel Centro (22,8%), per calare poi bruscamente nel Mezzogiorno (10%). Ed è chi vive in nuclei numerosi, con tre o più figli, a riempire il quinto più povero della popolazione (36,5%). Un aspetto, spiega l’Istat, che “si lega anche alla maggiore presenza di minori nel segmento inferiore della distribuzione dei redditi, soprattutto se vivono in famiglie numerose”. Quando in famiglia vi è almeno un minore si ha una concentrazione del 25% nel primo quinto più povero, percentuale che sale al 39,5% nel caso i figli siano tre o anche di più. E non è un caso se le nascite ormai segnino il passo e non più solo al Nord, ma anche al Sud.

Le coppie senza figli o con un solo figlio ricadono infatti meno frequentemente tra quelle a rischio povertà (meno del 15% dei casi) mentre si concentrano tra quelle più ricche (27,2% e 24,1%). Fortemente svantaggiati i componenti di famiglie straniere, che per il 36% dei casi rientrano nella fascia dei più poveri. E una maggiore vulnerabilità colpisce chi appartiene a famiglie dove il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (27,8% nel primo quinto), ha solo la licenza media (28,2%) è in condizione di disoccupazione (59,1%) o inoccupazione (38,6%). Una disuguaglianza dei redditi, quella italiana, più accentuata se confrontata con la media dei paesi europei, che ci pone alla ventesima posizione. La certificazione di una realtà che da tempo è stata denunciata ed è sotto gli occhi di tutti.

Fonte: Adico

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tasso di disoccupazione settembre 2017

SETTEMBRE: TASSO DI DISOCCUPAZIONE ALL’11,1%

L’Istat riferisce un calo della disoccupazione dello 0,2% a settembre: la crescita dell’occupazione tuttavia riguarda solo i contratti a termine e non i posti fissi, che sono in calo.

Il tasso di disoccupazione a settembre è all’11,1%, invariato rispetto ad agosto. Lo riferisce l’Istat, che precisa che, dopo il calo dell’1,5% di agosto, la stima delle persone in cerca di occupazione a settembre scende ancora dello 0,2%, ovvero di 5 mila unità a 2,891 milioni. Come spiega l’istituto statistico la diminuzione della disoccupazione è determinata dalla componente maschile e dagli over 35, mentre si osserva un aumento di disoccupazione tra le donne e i 15-34enni.

A settembre, nel confronto con agosto, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni cresce dello 0,2% (+25 mila) interrompendo l’andamento tendenzialmente in calo registrato nei mesi precedenti. L’aumento è determinato dagli uomini e dai 15-34enni, a fronte di una sostanziale stabilità tra le donne e di un calo tra gli over 35. Il tasso di inattività sale al 34,4% (+0,1 punti).

Aumenta al 35,7% il tasso della disoccupazione giovanile (+0,6 punti percentuali su base mensile). Il tasso di disoccupazione cresce tra i 25-34enni (+0,7 punti), cala tra i 35-49enni (-0,3 punti) e rimane stabile tra gli ultracinquantenni. Sul fronte degli inattivi, il tasso di inattività cresce tra i 25-34enni (+0,2 punti), rimane stabile tra i 35-49enni e cala tra gli over 50 (-0,1 punti).

Dall’inizio dell’anno, c’è una novità per quanto riguarda il mercato del lavoro: sono in calo i posti `fissi´. L’Istat rileva che sono in calo di 17 mila unità, a settembre, i lavoratori dipendenti e tra questi in particolare quelli permanenti. Se si considera il trimestre, l’andamento viene confermato: l’occupazione cresce, ma quasi esclusivamente per i contratti a termine (+103 mila) perché quelli permanenti sono aumentati solo di 6 mila unità. Anche su base annua la crescita dei lavoratori dipendenti (+387 mila) riguarda più quelli a termine: il rialzo in questo caso è del 14,8% (+361 mila) contro i lavoratori permanenti, saliti solo dello 0,2% (+26 mila).

Fonte: La Stampa

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reddito italiani

Cresce dello 0,8% il reddito disponibile delle famiglie italiane

Migliora la condizione finanziaria delle famiglie italiane nel I trimestre.

Il reddito disponibile, informa l’Istat, è aumentato dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono rimasti invariati. Di conseguenza, la propensione al risparmio delle Famiglie consumatrici è risultata pari all’8,8%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2015. Poiché il deflatore implicito dei consumi delle famiglie è sceso in termini congiunturali dello 0,3%, il potere d’acquisto delle famiglie è aumentato dell’1,1%. 

Il tasso di investimento delle famiglie consumatrici, definito come rapporto tra investimenti fissi lordi delle famiglie consumatrici, che comprendono esclusivamente gli acquisti di abitazioni, e reddito lordo disponibile, è stato pari al 6,2%, invariato sia rispetto al trimestre precedente, sia rispetto al corrispondente trimestre del 2015. Tale stabilità a livello congiunturale, spiega l’Istat, riflette una flessione degli investimenti fissi lordi (-0,4%) e un aumento del reddito lordo disponibile (+0,8%).

Fonte: La Stampa

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Industria, Istat: A marzo fatturato crolla del 3,6% su anno.

Calo peggiore dal 2013. Pesano petrolio e attività estrattive.

L’indice destagionalizzato dei ricavi tocca i minimi da due anni a questa parte: fatto 100 il livello del 2010, a marzo 2016 si scende a quota 96. Il comparto degli autoveicoli registra la prima contrazione dal dicembre del 2013, segnando un -6,5% su marzo 2015. Lo scorso anno aveva trainato la debole ripresa del pil.

A marzo il fatturato dell’industria italiana è calato del 3,6% rispetto allo stesso mese del 2015, il peggiore calo su base annuale a partire dall’agosto 2013. A trascinarlo verso il basso sono stati il crollo delle attività estrattive (-39,5%) e della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati, insieme al tessile e abbigliamento (-9,8%) e alla metallurgia (-9,4%). A sorpresa, ha però perso terreno anche quel settore auto che nel 2015 aveva invece trainato la debole ripresa del pil: il comparto, ha fatto sapere l’istituto durante il briefing con i giornalisti, ha fatto segnare un -6,5 per cento, primo cedimento dal dicembre del 2013. La fabbricazione di mezzi di trasporto nel suo complesso (nella voce sono comprese navi, locomotive e aerei) resta invece in progresso del 5,1%.

Risultato

L’indice destagionalizzato dei ricavi dell’industria tocca il minimo da due anni a questa parte. Fatto 100 il livello del 2010, a marzo 2016 si scende a quota 96. Non un segnale incoraggiante per la ripresa italiana, anche se l’andamento dell’industria a marzo è già inglobato nello stentato andamento del pil nel primo trimestre, quando ha segnato un aumento dello 0,3% contro il +0,5% medio dell’Eurozona. A pesare è probabilmente lo stallo dell’Ilva e del suo indotto, mentre è da escludere l’effetto del sequestro del centro oli Eni di Viggiano, visto che risale al 31 marzo.
La contrazione del fatturato è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero. Ma il dato scende anche su base mensile, con una flessione rispetto a febbraio dell’1,6%. E ancora, si registra il segno meno anche considerando la variazione tra l’ultimo trimestre del 2015 e i primi tre mesi del 2016: in questo caso, la contrazione è dell’1,1%.

Risultano in contrazione mese su mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all’anno precedente, crescono dello 0,1%. Il calo su base mensile è verificato sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).

Ulteriori fattori

A contribuire al crollo del fatturato dell’industria è stata anche la componente interna dell’energia e, in particolare, la maggiore diminuzione colpisce la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-22,4%). Invece gli incrementi più rilevanti si registrano nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+6,5% sull’anno), i mezzi di trasporto (+5,1%, nonostante il calo degli autoveicoli del 6,5%) e i prodotti farmaceutici (+4,9%). Su base congiunturale, gli indici segnano incrementi per l’energia (+3,2% sul mese) e cali per i beni strumentali, i beni intermedi (-2,5% per entrambi) e i beni di consumo (-0,6%).

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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