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BONUS DA 1.900 EURO PER CHI ASSISTE FAMILIARI DISABILI

Benefici fiscali e detrazioni per chi assiste un disabile,con una novità: bonus di 1.900 euro

In questi giorni è in esame il nuovo Testo in materia familiare. La misura consiste nella rivisitazione della legge 104 ampliandone la forma dando così dei vantaggi a coloro che si occupano di parenti aventi una disabilità. La manovra,tuttavia, non è ancora stata approvata in via definitiva.

Ad aspettare ogni nucleo familiare vi sono varie riforme: contributi previdenziali per la pensione,possibilità di richiesta di part time e telelavoro da casa, riconoscimento della qualifica di caregiver familiare; tutela per le malattie ed assicurazione del caregiver. I caregiver sono gli assistenti che si prendono cura di un membro della famiglia.

L’ultimissima modifica nel Testo è appunto il nuovo bonus per l’assistenza familiare. Questo rientra perfettamente nel pacchetto in favore di coloro che assistono un proprio familiare con disabilità ed esso ha un importo pari ad euro 1.900.

Il vantaggio economico può essere erogato in due modalità differenti:

  • come detrazione fiscale. L’erogazione comporta una riduzione dell’Irpef pari al 19% delle spese sostenute per l’assistenza, fino ad un massimo di 10mila euro annui. Per l’ottenimento, il caregiver è tenuto a presentare ed a conservare l’Isee;
  • sotto forma di contributo monetario erogato dall’Inps,avente durata di 1 anno.

  L’opportunità viene garantita e poi riconosciuta:

  • a chi presta cura ed assistenza ad un parente entro il terzo grado di parentela, di età pari o superiore a 80 anni;
  • ai parenti in possesso dello stato di famiglia e dell’Isee 2018;
  • a caregivers senza reddito o con reddito Isee inferiore a euro 25mila annui;;
  • familiari privi di reddito o totalmente o parzialmente incapienti.

Fonte: http://www.associazionedifesaconsumatori.it/news/legge-104-in-arrivo-il-bonus-da-1-900-euro-per-chi-assiste-familiari-disabili/

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Bonus 80 euro di Renzi, un beneficiario su 8 costretto a restituirlo

1,4 milioni di italiani dovranno restituire allo Stato il bonus ricevuto in un’unica soluzione.

Più di un milione di italiani ha ricevuto il bonus 80 euro di Renzi ma ora dovrà restituirlo perché non ne avevano diritto. Essenzialmente per due motivi: a fine anno si sono ritrovati un reddito superiore al limite di 26mila euro lordi, oppure ci sono stato errori nella compilazione della dichiarazione dei redditi sul modello 730 precompilato.

Sono i dati che provengono dai calcoli del dipartimento delle Finanze in seguito all’invio dei 730 precompilati avvenuto in questi giorni, dopo i riconteggi effettuati dai ragioneri del Ministero dell’Economia incrociati con i dati Inps ricevuti nel 2015.

CHI DEVE RESTITUIRE IL BONUS DI 80 EURO

Il bonus 80 euro di Renzi era destinato ad aiutare la classe media. Veniva richiesto dai datori di lavoro per i propri dipendenti che, all’interno dell’anno fiscale 2015, avrebbero guadagnato tra gli 8 mila e i 26 mila euro. Dalle dichiarazioni 2015 risulta che hanno goduto del credito d’imposta in 11,3 milioni, per un ammontare totale di circa 6,1 miliardi di euro, in media 540 euro. Circa 798mila lavoratori lo hanno dovuto restituire integralmente in sede di dichiarazione, in quanto titolari di ulteriori redditi rispetto a quelli presi in considerazione dal datore di lavoro, mentre 651mila ne hanno dovuto restituire solo una parte.

BEFFATI DAL BONUS

Questo, spiegano dall’entourage di Renzi, “è lo stesso meccanismo fiscale che si applica per tutte le deduzioni e detrazioni come quelle per figli a carico”. Inoltre, sottolineano, “c’è anche chi pensava di non averlo in quanto incapiente sotto gli 8mila euro, e invece ha raggiunto i requisiti per riceverlo”. Viceversa, sono rimasti beffati 341mila contribuenti risultati a fine anno incapienti, cioè troppo poveri per pagare le tasse: hanno dovuto restituire 55 milioni.

Fonte: Qui Finanza

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Pensioni, ipotesi bonus di 80 euro alle minime e flessibilità in uscita

Il governo apre il cantiere delle pensioni e mette sul tavolo anche le minime, perché sono “troppo basse” dice il presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi.

Nel menù della riforma cui metterà mano il governo c’è anche la flessibilità, con la possibilità di uscire prima dal lavoro “rinunciando a qualcosa”, anche l’esecutivo promette di fare attenzione ai lavoratori impiegati in settori “usuranti”. Ecco come cambieranno le pensioni.

Minime

Oggi i trattamenti minimi per chi non ha versato abbastanza contributi si aggirano sui 500 euro al mese: nel 2016 interessa oltre tre milioni di pensionati. Palazzo Chigi vorrebbe estendere a questa fascia di persone il bonus da 80 euro previsto dal Jobs Act, ma solo per i redditi fino a 26mila euro annui: secondo tecnici del governo l’operazione costerebbe circa tre miliardi di euro l’anno, troppi anche nonostante la flessibilità ottenuta dall’Unione europea. Più probabile che si decida di restringere la platea a quanti hanno un reddito effettivo da pensioni sotto il minimo escludendo, quindi, quando percepiscono dall’Inps altri trattamenti come – per esempio – un assegno di reversibilità.

Flessibilità

Per gli addetti ai lavori è ormai scontato che dall’anno prossimo si potrà smettere di lavorare a 63 anni (tre anni prima di quanto stabilisca la Legge Fornero del 2011): il governo avrebbe voluto partire quest’anno, ma con i vincoli di bilancio sarebbe stato impossibile spendere 5-7 miliardi di euro. Palazzo Chigi ha quindi deciso di coinvolgere il sistema bancario: saranno banche e assicurazioni a erogare per un massimo di tre anni l’assegno pensionistico. Raggiunta l’età pensionabile, poi, il lavoratore inizierà a restituire a rata – negoziabili – il dovuto: la penalizzazione del trattamento sarà nell’ordine del 3-4% a seconda degli anni di anticipo e del reddito effettivo. Particolare attenzione sarà rivolta alle professioni usuranti: il governo vorrebbe aggiornarne l’elenco fermo da anni, salvaguardando chi davvero lavora in condizioni difficili, dai cantieri edili agli asili.

Fondi e riscatto laurea

Palazzo Chigi sta ragionando su taglio dell’aliquota fiscale sui rendimenti dei fondi integrativi (ora è al 20%) per incentivare l’adesione ai fondi complementari. Il governo pensa anche di cambiare lo schema di riscatto della laurea: non più parametri fissi calcolati sullo stipendio, ma versamenti liberi e volontari: ovviamente più saranno alti, più crescerà la pensione.

Fonte: La Repubblica

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